Fauna

Parimenti nella selva poco distante da Fossacieca c’è abbondanza di caprii, cignali, lepri e tarterughe.

Dalla relazione di Padre Gio. Benedetto Colocci sull’Abbazia di San Giovanni in Venere nel 1689.

I territori costieri costituiscono, come nella maggior parte del Mediterraneo, le aree più densamente abitate, dove l’uomo ha trasformato maggiormente l’ambiente naturale con la conseguente scomparsa o totale modificazione dei popolamenti faunistici. Alla scomparsa reale della fauna originaria o di pregio del luogo, per colpa delle trasformazioni umane, dovrebbe corrispondere una elevata quantità di dati e notizie storiche dirette e indirette sugli animali proprio per la presenza, nel tempo, dell’uomo. Purtroppo, quasi come nelle zone montane, le notizie sulla presenza storica della fauna sono molto scarse o totalmente assenti, tranne che per alcuni dati rilevati in modo indi- retto, attraverso documenti di tutt’altro argomento che ci testimoniano la presenza di specie importanti. Anche per il territorio di Torino di Sangro e le aree limitrofe del basso Sangro mancano dati sostanziali sulla fauna storica, come del resto anche la ricerca scientifica costituisce un interesse poco rilevante fino ai nostri giorni con scarsi e limitati approfondimenti.

Sono di estremo rilievo, invece, alcune citazioni specifiche per il bosco di Torino di Sangro, tra queste nella “Relazione di Padre Colocci sull’abbazia di S. Giovanni in Venere nel 1689” si legge: “...Il fiume Sangro è abbondante d’ogni sorte di pesce”. La congregazione ha lo jus di pesca e rilascia licenze scritte due volte l’anno, a maggio e set- tembre. “Parimenti nella selva poco distante da Fossacieca c’è abbondanza di caprii, cignali, lepri e tarterughe”...”, ed ancora, “...La congregazione ha lo jus di pescare nel Sangro e nessuno può farlo senza licenza”. “Due volte l’anno si fanno le pesche nel Sangro, di maggio per il passo delle chieppe, e l’ottobre per il passo delle mugele ed anguille e li nos- tri suditi come anche quelli di Turino fanno memoriali assegnandosi agl’oratori diversi siti che uno non dia fastidio all’altro, e gli si fa licenza in scritto e si confer- mano i memoriali dal governatore che li registra...”. Anche Lorenzo Giustiniani, nel Tomo IX del Dizionario Geografico-Ragionato del Regno di Napoli (1805), alla voce Torino scrive: “...Tiene una selva ben grande, ove trovasi della caccia di quadrupedi, e di volatili. Vi passa il fiume Sangro, e similmente l’Osente, ed il Vallone, piccioli fiumi, ma danno del pesce e delle Idrie, e Utrie...” Si tratta dei nomi dialettali, tuttora in uso in gran parte dell’Abruzzo, della lontra, mammifero divenuto tra i più rari della penisola, ma ancora pre- sente solo nel medio ed alto corso del Sangro.

Nel basso Sangro si è estinta già da qualche decennio, sono noti due esemplari imbalsamati, catturati lungo il torrente Gogna, all’interno dell’attuale Riserva di Serranella, all’inizio degli anni ’70. Quasi lascia increduli, invece, la notizia circa l’uccisione di lupi nel territorio di Torino, riportata dallo storico Uberto D’An- drea nel volume “Catture ed uccisioni di orsi e lupi in Provincia di Chieti durante i secoli passati”. Viene così descritto: “...Il 15 settembre 1851, la Guardia Urbana Ciriaco Mucci da Torino di Sangro, uccise un lupo nel bosco comunale ed ebbe la ricompensa di cinque ducati. Incoraggiato dal premio ottenuto, - ponevasi nello impegno di ucciderne altro - lupo, e vi riuscì il 2 gennaio 1852. Questa seconda belva aveva quattro o cinque anni, come riconobbero due periti, durante la stesura del verbale presso la cancelleria comunale del luogo...”. Certo oggi la presenza del lupo in prossimità del mare non è più possibile per la mancanza di corridoi naturali e soprattutto di prede ed in particolare delle greggi che questi carnivori seguivano lungo gli antichi percorsi tratturali, ma è interessante ricollegarsi alla descrizione di Padre Colocci che nel lontano 1689 citava le tartarughe presenti nel bosco. Ancora oggi, infatti, la Lecceta di Torino di Sangro rappresenta il sito con la popolazione più consistente della testuggine di Herman (Testudo hermanni) in Abruzzo e della costa centro-adriatica, tanto da esser scelta come simbolo della Riserva. Diverse invece le sorti del cinghiale e del capriolo, da tempo scomparsi ed oggi di nuovo pre- senti nel territorio; per il primo non si può certo parlare di un riacquisto di pregio tra la fauna, in quanto i cinghiali oggi diffusi in tutto il territorio regionale sono il frutto di introduzioni effettuate per scopi venatori di una forma alloctona, ben diversa da quella originaria, che crea notevoli danni alle coltivazioni agricole e concorrenza diversa altre specie animali. Il capriolo (Capreolus capreolus), invece, probabilmente mai scomparso nelle zone interne, a seguito delle reintro- duzioni effettuate nei parchi nazionali, ha gradualmente rioccupato il suo areale e da circa due anni, probabilmente muovendosi lungo il corso del Sangro che rappresenta un importante corridoio naturale, è tornato ad abitare la Riserva.

Ai mammiferi già citati si aggiungono specie piuttosto comuni come la donnola (Mustela nivalis), la faina (Martes foina), la puzzola (Mustela putorius), il tasso (Meles meles) e la volpe (Vulpes vulpes). Tra i Lagomorfi si segnala la presenza della lepre (Lepus sp.) all’interno del territorio, ma è possibile che si tratti di esemplari di immissione di cui è difficile individuare la specie.

Per quanto riguarda gli insettivori il popolamento del- l’area include il riccio (Erinaceus europaeus), la talpa (Talpa sp.), il moscardino (Moscardinus avellanarius), il topo quercino (Elyomis quercinus), i topiragno e le crocidure dei Generi Sorex e Crocidura. Per le arvicole è certamente presente l’arvicola di Savi (Pitymys savii); mentre per i Muridae (Topi e Ratti) sono certamente presenti il topo selvatico (Apodemus sylvaticus), il topo- lino delle case (Mus musculus) ed il surmolotto (Rattus norvegicus). Per quanto concerne il popolamento dei Chirotteri (Pipistrelli), la situazione della distribuzione di queste specie nel comprensorio è poco conosciuta. La presenza di un bosco così esteso in prossimità della costa, unitamente all’ambiente fluviale, rappresenta un habitat di estremo interesse per molte specie ornitiche.

Alle specie nidificanti si aggiungono quelle svernanti, ed in modo più consistente le specie migratrici. Nel bosco, caratterizzato oltre che dall’alto fusto anche dalla macchia mediterranea, sono presenti di- verse comunità costituite prevalentemente da Silvidi, tra cui la capinera (Sylvia tricapilla), l’occhiocotto (Syl- via melanocephala), il canapino (Hippolais polyglot- ta), la sterpazzolina (Sylvia cantillans), il luì piccolo (Phylloscopus collybita), nonché il fiorrancino (Regulus ignicapillus), tipico delle aree montane, risulta particolarmente localizzato nell’area costiera. A queste si aggiungono in abbondanza il pettirosso (Erithacus ru-becula), il fringuello (Fringilla coelebs), il codirosso (Phoenicurus phoenicurus), il rigogolo (Oriolus oriolus), la tortora comune (Streptopelia turtur), il picchio rosso maggiore (Picoides major), la ghiandaia (Garrulus glandarius) e il colombaccio (Columba palumbus). Tra i rapaci nidifi- cano la poiana (Buteo buteo), lo sparviere (Accipiter nisus), il gheppio (Falco tinnunculus) ed il più raro lodolaio (Falco subbuteo).

Come avviene nella maggior parte degli ambienti umidi italiani, anche nei pressi della foce e lungo il fiume Sangro sostano numerose specie di uccelli che affrontano il lungo viaggio migratorio, sia nel periodo primaverile che autunnale. Tra gli Anatidi è possibile ammirare l’alzavola (Anas crecca), il moriglione (Aythya ferina), il mestolone (Anas clypeata), la marzaiola (Anas querquedula) e il germano reale (Anas platy- rhynchos). Numerosi sono i Limicoli (piro piro, combat- tenti, pittime, pettegole, ecc.) nonché gli Ardeidi, tra cui la nitticora (Nycticorax nycticorax), l’airone ceneri- no (Ardea cinerea), l’airone rosso (Ardea purpurea) e la garzetta (Egretta garzetta), o specie più rare come l’airone bianco maggiore (Casmerodius albus), la spa- tola (Platalea leucorodia), il mignattaio (Plegadis fal- cinellus), la gru (Grus grus) e la cicogna nera (Ciconia nigra). Non mancano alcuni rapaci migratori come il falco di palude (Circus aeruginosus) e il falco pesca- tore (Pandion haliaetus).

Tra i nidificanti lungo il fiume invece troviamo l’usignolo di fiume (Cettia cetti), il cannareccione (Acrocephalus arundinaceus), la cannaiola (Acrocephalus scirpaceus), il martin pescatore (Alcedo atthis), lo scricciolo (Troglodytes troglodytes) e il pendolino (Remiz pendulinus).

IL GRUCCIONE (MEROPS APIASTER)
Il gruccione è un uccello con un piumaggio molto colorato: le parti superiori sono di colore marrone giallo, la coda e le ali verde blu, le parti inferiori di colore azzurro, ad eccezione della gola che è giallo brillante. Il becco è nerastro, lungo e leggermente ricurvo verso il basso. È diffuso in tutta l'Europa meridionale, nell'Asia sud- occidentale e nell'estremo settentrione e meridione del continente africano. È un uccello prevalentemente migratore, che ogni anno, per svernare, dall'Europa raggiunge l'Africa a sud del Sahara, mentre dall'Asia occidentale si trasferisce nell'India nord-occidentale. In Italia è estivo e di doppio passo, frequente soprattutto al sud e nelle isole. Solitamente gregario, si posa sui rami o sui fili, abita in ambienti aperti con vegetazione spontanea e cespugliosa con alberi sparsi e pali della luce, presso corsi fluviali, boschi con radure, oliveti. Si ciba di insetti aculeati, soprattutto api, vespe e calabroni i quali vengono catturati in aria con sortite da un posatoio; appena scopre un alveare o un vespaio va a posarsi il più vicino possibile e nello spazio di poche ore ne distrugge tutti gli abitanti;

prima di mangiare il suo cibo il gruccione rimuove il pungiglione colpendo l'insetto ripetutamente su una superficie dura. Completano la sua alimentazione le locuste, le cicale, le libellule, i tafani, le mosche, i moscerini ed i coleotteri. I gruccioni fanno il nido in colonie su pareti argillo-se e sabbiose, scavano un cunicolo lungo anche 3- 5 metri, la camera nido è arrotondata, priva di rivestimento e nella galleria sono presenti le colate contenenti resti di insetti. L’unica covata annuale è di 5-8 uova, sia il maschio che la femmina si occupano della costruzione del nido, della cova delle uova, che dura circa 7 giorni, e dell'allevamento della prole.

IL CAPRIOLO (CAPREOLUS CAPREOLUS)
Può essere considerato l’ungulato degli ambienti aperti o di boscaglia o, meglio, degli ambienti di tran- sizione tra la foresta e la prateria. È un ottimo coloniz- zatore dei cedui abbondanti e dei territori degradati tra la collina e i crinali appenninici dove sono stati ab- bandonati la pratica agricola, il prato-pascolo e il trattamento del bosco ceduo. Negli ultimi anni ha ri- colonizzato nella nostra regione ampi territori fino al mare e viene spesso osservato anche nella lecceta di Torino di Sangro. Tra gli ungulati è il più piccolo; l’altezza al garrese è di 50-70 cm, non esiste sostanzia- le differenza tra maschio e femmina. Come tutti i cer- vidi il mantello dei piccoli è, per ragioni di mimetismo, lievemente più scuro e macchiettato di bianco sui fianchi. I palchi sono una prerogativa dei maschi e si compongono di due stanghe lunghe in media 22-30 cm, con due-tre cime di solito dal secondo anno di vita. Le abitudini di vita del capriolo sono tipicamente crepuscolari, la sua attività si svolge al mattino presto e alla sera tardi anche se in inverno diviene attivo an- che di giorno. Da un punto di vista alimentare il ca- priolo è un erbivoro selettivo che sceglie i suoi alimen- ti fra quelli più energetici. Nel periodo primaverile i maschi iniziano la loro fase di territorialità: divengono intolleranti nei confronti degli altri maschi in un rap- porto di gerarchia che si manifesterà con la difesa di un determinato territorio detto home range. Tra il 15 lu- glio e il 15 agosto i caprioli vanno in amore, le femmi- ne abbandonano per qualche tempo i piccoli nati a maggio, rapporto che termina a metà marzo dell’an- no dopo, per dedicarsi alla riproduzione. Ma non si formano coppie stabili, tanto meno harem. Inesistenti o scarsissime sono le lotte tra maschi, in molti casi è sufficiente l’abbaio per determinare chi è il maschio dominante. Con la fine del periodo degli amori cessa anche la territorialità che si era già andata affievo- lendo. La gestazione dura 10 mesi, ma lo sviluppo embrionale resta bloccato fino a dicembre e tra la metà di maggio e la metà di giugno nascono di nor- ma due piccoli che sono allattati dalla madre più vol- te durante la giornata. All’inizio, tra una poppata e l’altra, i piccoli passano il loro tempo accovacciati, progressivamente iniziano a seguire la madre intenta nella sua ricerca alimentare, ed è in questo periodo che iniziano a riconoscere la specie di appartenenza.

LA TESTUGGINE TERRESTRE (TESTUDO HERMANNI)
La testuggine di Herman è l’unica testuggine terri- cola autoctona. Un tempo era abbondantemente diffusa nel territorio nazionale, mentre ora è confi- nata in areali limitati per l’attività di raccolta a cui è stata sottoposta nel corso degli anni per scopi commerciali, nonché a causa della rarefazione degli habitat naturali. L’alimentazione, essenzialmente di natura vegeta- le, è costituita da foglie, teneri germogli di piante selvatiche, fiori, frutti ma anche lumache, lombrichi ed occasionalmente persino escrementi. Gli accoppiamenti si susseguono soprattutto tra pri- mavera inoltrata e inizio estate; nel corteggiamen- to i maschi diventano molto aggressivi, infatti, inse- guono le femmine e le insidiano con morsi alle zam- pe e sul capo, colpendole più volte sul carapace fino a che non riescono ad accoppiarsi. Durante l’accoppiamento, per rapida emissione di aria dai polmoni, il maschio emette dei suoni distintamente udibili anche a parecchi metri di distanza. Le femmine depongono le uova all’interno di una buca che scavano con le zampe posteriori, dopo aver ammorbidito il terreno con un liquido emesso dai sacchi anali. Il periodo di incubazione dura da 8 a 12 settimane; la temperatura di incubazione influenza il sesso del nascituro: in linea di massima tra i 26 ed i 29,5 °C i nati sono tutti maschi, tra i 30 ed i 31,5 °C sono di sesso misto, tra i 32 ed i 34 °C nascono tutte femmi- ne, al di sotto dei 26 °C gli embrioni muoiono nelle uova, al di sopra dei 34 °C compaiono individui deformi. Quando le giornate si accorciano, l’intensità della luce diminuisce e la temperatura comincia a scen- dere, le testuggini si preparano per andare in letar- go, cercando ricovero in buche scavate oltre il limi- te della fascia di terreno soggetta al gelo. L’entrata nella fase di riposo invernale corrisponde ad un rallentamento di tutta l'attività metabolica; i fattori che ne regolano la durata sono la latitudine, il clima, le riserve di grasso, la dimensione, l'età e le condizioni di salute. Nei paesi dell’Asia orientale la testuggine terrestre è considerata il simbolo dell’amore per la veemenza con la quale i maschi corteggiano le femmine.